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Diagnosi

Caccia al cancro

Scovarlo il prima possibile e riconoscerne le peculiari caratteristiche in ogni singolo malato: sono questi i due modi con cui gli strumenti diagnostici messi a punto da medici e scienziati hanno contribuito a rendere più curabile il cancro.

La vittoria più clamorosa

È nel campo degli screening, cioè di quegli esami condotti a tappeto sulla popolazione sana, o che ritiene di esserlo, che si è riportata una delle più importanti vittorie contro il cancro, forse uno dei più grandi successi della medicina in generale. Merito di Georgios Papanicolaou, il medico greco che fin dalla fine degli anni Venti suggerì che il tumore del collo dell’utero si potesse scoprire esaminando cellule prelevate dalla vagina. La sua idea fu ignorata per molti decenni, ma da quando l’esame che da lui prende il nome, il Pap test, è stato introdotto e diffuso nei paesi industrializzati, l’epidemiologia del cancro nel sesso femminile è radicalmente cambiata.

L’American Cancer Society, nelle sue linee guida, attribuisce a questa pratica gran parte del calo della mortalità per tumore del collo dell’utero che, oltreoceano, negli ultimi 50 anni, è stato di oltre il 70 per cento. Altrettanto evidente è stato l’effetto della diffusione del semplice ed economico test in tutti i Paesi industrializzati.

Prima questa forma di tumore, come purtroppo ancora accade in molti paesi in via di sviluppo, era responsabile della maggior parte delle morti per cancro tra le donne; oggi in Italia, secondo i dati raccolti dai Registri tumori, ne provoca solo lo 0,6 per cento. E questo proprio perché la maggior parte dei casi vengono individuati prima che il tumore invada i tessuti e formi metastasi, o addirittura prima che anomalie definite come “precancerose” diventino un vero e proprio cancro.

In questi casi l’intervento permette quasi sempre una completa guarigione.

La diagnosi sceglie la cura

I tumori femminili sono quelli che per ora hanno tratto maggior beneficio dai programmi di screening; oltre al Pap test, anche la mammografia ha infatti contribuito, sebbene in misura meno eclatante, a ridurre la mortalità per tumore al seno. In questo campo il merito del successo va però diviso tra diagnosi precoce e cure più efficaci e mirate, sebbene molto meno aggressive di 50 anni fa, quando interventi devastanti e mutilanti erano la norma. Se oggi sono possibili operazioni più circoscritte, come l’asportazione del solo nodulo o del quadrante di mammella in cui si trova, è però spesso proprio grazie all’esame che individua il tumore quando è ancora molto piccolo.

Inoltre, all’efficacia delle cure ha contribuito non poco la possibilità di conoscere il tipo specifico di tumore che si ha di fronte: sapere se le cellule hanno sulla loro superficie i recettori per gli ormoni (estrogeni o progestinici) o per lo Human Epidermal growth factor receptor 2 (HER2/neu, anche noto come ErbB-2) è fondamentale per sapere se la paziente potrà trarre beneficio rispettivamente dalle cure ormonali o da quelle mirate.

Quanto aiuta vederci chiaro

Meno facilmente quantificabili, perché diffusi su tutti i tumori, ma altrettanto importanti nell’aver reso più curabili queste malattie, sono poi i successi ottenuti grazie all’introduzione di altre tecniche diagnostiche, non come strumento di screening, ma per accertare la presenza del tumore davanti a sintomi sospetti, tenerne sotto controllo la crescita, cogliere la presenza di metastasi.

Sembra impossibile a pensarci oggi, ma fino a qualche decennio fa l’unico mezzo che i medici avevano a disposizione per visualizzare l’interno dell’organismo erano i raggi x, con il solo possibile aiuto di un mezzo di contrasto che aiutasse a mettere in evidenza la massa tumorale. Oggi invece la semplice radiografia, che pure conserva la sua importanza, è affiancata da nuovi strumenti con cui la tecnologia ha fornito ai medici non solo la possibilità di vedere meglio il tumore, ma talvolta anche di ricavare utili informazioni in più.

Prima di tutto si intuì che le stesse radiazioni ionizzanti, capaci di impressionare la pellicola fotografica, potevano venire da sostanze radioattive iniettate nel corpo (scintigrafia) e dirette verso l’uno o l’altro tessuto.

Fondamentale poi fu l’introduzione dell’ecografia: innocua, pratica, economica e non fastidiosa per il paziente, si può ripetere ogni volta che si voglia accertare l’evoluzione della malattia o la comparsa di metastasi, soprattutto al fegato, uno degli organi più colpiti dalle disseminazioni della malattia, ma anche meglio studiati con questa tecnica. Sotto la sua guida si può anche aspirare materiale da lesioni localizzate, per studiarlo in laboratorio. Lo si fa nel fegato, ma anche in altri organi vicini alla superficie del corpo, come la tiroide o la mammella.

Vennero poi le apparecchiature a fibre ottiche, che permettono di esaminare le parti interne del corpo attraverso lunghi strumenti flessibili. Ciò consente ai medici non solo di vedere direttamente la massa tumorale, ma anche di asportarla quando possibile, oppure di raccoglierne piccoli frammenti da analizzare in laboratorio. Lo si fa con la rettosigmoido- o la colonscopia, con la bronco- o la gastroscopia, con l’isteroscopia, la laparoscopia e così via. L’esame istologico del pezzo prelevato permette di approfondire il tipo di tumore che si ha davanti e la sua aggressività: entrambe informazioni cruciali per definire le cure più efficaci.

L’imaging di oggi

Un ulteriore balzo in avanti nella possibilità di visualizzare i tumori posti in profondità, per esempio quelli del sistema nervoso centrale, si è ottenuta infine grazie ai progressi dell’informatica, della fisica e della fisiologia. Con la TC, la RM, la PET e altre macchine sempre più innovative si può scrutare in ogni recondito recesso dell’organismo: per i tumori, nascondersi è sempre più difficile.